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Autore: Polifilo
Prefazione di Vincenzo d’Aquino
Genere: Poesia
Formato: 11×17 cm
Edizione: 2020
Pagine: 56
Collana: L’Angiolo
ISBN: 979-12-80022-22-6
A volte occorre conoscere e ricostruire la vita dei poeti, i loro inferni e i loro paradisi in terra, prima di potersi addentrare nelle loro opere. Polifilo, al contrario, ha scelto di offrirci le sue “Poesie fisiche” accompagnate soltanto da uno pseudonimo, Polifilo appunto, restando sempre bene attento a non farsi riconoscere fino in fondo. Ha voluto lasciar decantare a lungo i suoi versi prima di renderli pubblici, si è concesso il tempo e la quiete necessari a costruire un nucleo poetico forgiato con cura e attenzione alle sfumature, perfettamente calibrato tra tocchi nostalgici e slanci nitidissimi.
Nascosto dal suo pseudonimo, Polifilo ha rinunciato a strade comode e si è esposto totalmente: scopertamente umano, emette a volte vibrazioni che sono come fitte al cuore, disegnando invece nella strofa successiva stati d’animo sospesi e dilatati, a tratti perfino meditativi, in una continua apertura di orizzonti. E però se è vero che non conosciamo il nome, il volto del poeta, possiamo idealmente tracciarne un’identità, nonché le caratteristiche del suo approccio poetico, proprio facendo riferimento alla parola che ha scelto per essere suo velo. Suggerendoci così che ciò che leggiamo non è solo frutto di un lavoro dell’oggi, ma che si ispira e richiama dunque un’opera che affascina da più di 500 anni. Quel capolavoro del veneziano Aldo Manuzio: Hypnerotomachia Poliphili. Eccelsa opera di editoria nonché corollario di riferimenti misterici, simbolici ed iniziatici, di cui troviamo traccia e riferimento nei versi del nostro Polifilo contemporaneo. E poi l’amore che scorre fra i versi e, ancora, quell’essere “amante di molte cose” come il nome suggerisce, andando a scavare nell’etimologia greca del termine.
I suoi versi sono pieni di raffinatezze stilistiche, di citazioni e di suggestioni che rimandano a Pasolini e a Tolstoj, a Quasimodo e a Moravia e persino al fisico austriaco Erwin Schrödinger, ma senza nessun virtuosismo gratuito o ammiccamento compiaciuto. Magnificamente fuori dal tempo e dalla sua circolare geometria, lieve e intensissimo, Polifilo non sfugge però alle sfide della contemporaneità come, ad esempio, in “6 aprile”, dedicata alla città dell’Aquila dopo il terremoto: la sua passeggiata tra le macerie è un’altalena profonda e suggestiva di scenari emotivi, di fragori e di silenzi.
Un succedersi di parole in versi, dunque, in cui dai riferimenti alla fisica teorica, allo spazio-tempo, alla matematica, si arriva fino a suggestioni jazz. In un continuo rapportarsi con quella letteratura italiana che, da sempre, è caratterizzata da un rapporto molto forte con la scienza. Allungando il filo dell’ispirazione fino al nostro scorrere contemporaneo del tempo.
Senza conoscere nient’altro della biografia del poeta se non quello che lui ha voluto lasciarci scoprire, una cosa sola sappiamo con certezza dopo aver letto le sue ventotto “Poesie fisiche”, l’unica importante, in fondo: che qualunque sia il suo vero nome, Polifilo lo è per davvero, un poeta.
Vincenzo d’Aquino
direttore del FLA – Festival di Libri e Altrecose