€ 24.00
Autore: Luigi Martellini
Collana: Saggio
Formato: 13×20 cm
Edizione: 2022
Pagine: 388
ISBN: 979-12-80022-42-4
Tutta l’opera di Pier Paolo Pasolini – poesia, narrativa, saggistica, cinema, teatro, giornalismo, scritti vari – ricostruita con rigore metodologico, con impegno analitico e inquadrata storicamente e culturalmente in una esauriente e completa biografia letteraria di uno scrittore tra i più discussi del Novecento. Un’originale monografia che con la sua unicità ci permette, nella puntuale presentazione degli scritti pubblicati in vita e postumi, di capire l’autore, la complessità della sua produzione e di conoscere così la fisionomia completa dell’ultimo intellettuale del secolo scorso.
Introduzione: Una “disperata vitalità”
1922-1975: l’alfa-omega della vita di Pier Paolo Pasolini racchiude (dalla nascita del fascismo agli anni della strategia della tensione con i suoi attentati e le sue stragi) uno dei periodi più oscuri della nostra recente storia, con le sue illusioni, i falsi miti, le mancate certezze, le atrocità, gli inganni, gli intrighi, la caduta delle ideologie, le nostre miserie umane e morali. Anni quindi di sogni e di contraddizioni, dove uno scrittore (che è stato poeta, narratore, regista, drammaturgo, saggista, giornalista…) ha vissuto la sua rimbaudiana saison en enfer, in una sorta di dantesca discesa agli Inferi, per cercare la verità del nostro tempo, con la “furia della confessione” prima, poi con la “furia della chiarezza”. E nella selva oscura della sua esistenza ha incontrato la sua stessa “figura ingiallita dal silenzio” (come si definiva) ed ha narrato di essere stato poeta e di aver cantato la “divisione delle coscienze, di chi è fuggito dalla sua città distrutta, e va verso una città che deve essere ancora costruita”, ovvero quel suo irrealizzabile “sogno di un cosa” (la speranza tutta marxista di un mondo migliore). Una città (Roma) che nascondeva il Potere occulto (con la P maiuscola) capace di ogni scelleratezza, meschina e nevrotica, ai cui margini (nella periferia abbandonata dove lo scrittore si era sempre mosso e dove ha trovato la morte) ogni strada finiva, anche la sua, e dove metaforicamente si dissolveva il paese meraviglioso dell’infanzia (Casarsa), l’Eden perduto della felicità, l’hortus conclusus della sua scrittura, perché è nascosta qui la verità su Pasolini. Roma, invece, (la “città di Dio”, come la chiamava, del Potere politico e della Chiesa corrotta) nascondeva nel suo ventre il fanatismo di una borghesia cinica, l’ipocrisia della nostra cultura e delle nostre istituzioni ed era altresì l’espressione di un’opinione pubblica cresciuta sul condizionamento televisivo e sociale, ideologico e culturale, e per questo sempre pronta a colpevolizzare e a giustiziare chi la pensa diversamente o chi si oppone: “… accusino pure ogni mia passione – scrisse nella poesia Frammento alla morte – m’infanghino, mi dicano informe, impuro, ossesso, dilettante, spergiuro…” ma la realtà è che: “Tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere… avere, possedere, distruggere. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra in borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono. Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti… perché siamo tutti in pericolo”.
Evidentemente la sua voce disperata dava fastidio, il suo essere libero intellettualmente era scomodo: la passione, la sofferenza, l’accettazione, il silenzio, l’esasperazione, lo avevano reso cupo, impaziente, furioso, corrosivo, anticonformista, razionale e irrazionale fino in fondo, con la sua posizione corsara e luterana estremamente pericolosa, in una sfida continua senza mai rassegnarsi, nella trasgressione di ciò che l’uomo non voleva, mentre la società perseguitava e uccideva chi non seguiva le sue regole. Un lunghissimo monologo con la morte è stato quello di Pasolini, la quale era certezza della vita e insieme infinita miseria della nostra perduta pietà: morte che aveva radici lontane, nella difficile scelta di essere contro, di denunciare, scandalizzare, rifiutare, non-obbedire, in quanto la conoscenza è trasgressione: “La morte non è / nel non poter comunicare / ma nel non poter più essere compresi”, si legge nella poesia Una disperata vitalità. Esporsi, come Cristo in croce, per testimoniare con la propria presenza il significato della vita. In un periodo e in un ambiente di letterati e di intellettuali integrati e cerimoniosi, di registi e di scrittori mediocri o falliti, di politici corrotti e squalificati, di magistrati compromessi col Potere, Pasolini è stato contro, l’unico contro tutti, in un mondo totalmente omologato, a combattere con le armi della poesia, con la sua solitudine, la sua stanchezza, la sua angoscia, usando i segni-codici della scrittura e delle immagini: vale a dire contro l’universo orrendo e apocalittico che gli appariva davanti agli occhi.
Quindi: contro il divorzio, contro l’aborto, contro la falsa tolleranza, la falsa permissività, la falsa libertà (perché elargita e non conquistata), il falso benessere, contro la sottocultura, contro la criminalità, contro il falso sviluppo (che non era progresso), contro la classe dirigente, contro la scuola, contro la televisione, contro la cultura vuota dei salotti e delle università, contro il capitalismo (che ha inculcato la paura di non esser pari alle libertà che vengono concesse), contro il vecchio fascismo (con le sue colpe) e contro il nuovo fascismo–potere della tecnologia (il tecno-fascismo) che disgregava le culture dei nostri padri, contro l’integralismo dei giovani (criminaloidi, nevrotici, conformisti, intolleranti), contro il consumismo (col suo mostruoso binomio produrre e consumare, perché si vogliono bravi acquirenti e consumatori, non bravi cittadini), contro i mass-media, contro le contestazioni studentesche del ’68, contro la Chiesa- istituzione, contro la sfrenata ricerca dell’edonismo e del piacere a tutti i costi, contro il comunismo ormai imborghesito (con le sue “ceneri” e col rosso cromatismo, ormai sbiadito, della sua bandiera, quella del popolo), contro la droga, contro la libertà sessuale (voluta come donazione e imposta anch’essa come consumo), contro l’omologazione culturale (con la sua diffusa anonimia), contro i modelli culturali globalizzati, contro i discorsi di “pura teratologia” della politica, contro la perdita e il conseguente vuoto (un altro) dei valori, contro l’ignoranza dilagante, contro il genocidio sociale della sua contemporaneità (che è poi quella che stiamo vivendo) che aveva travolto e mutato antropologicamente tutti noi: gli “Italiani non sono più quelli”, aveva scritto.
Un intellettuale eretico Pasolini, in guerra permanente contro gli idoli e le menzogne del nostro tempo (che non chiede più poesia e non sa che farsene): un tempo magmatico e sporco (“orribilmente sporco”), ridicolo e imbrattato di sangue, un “verminaio”, mai così colmo di miseria umana. Una sorta di profeta del passato (con la sola forza della tradizione e del suo populismo), tra un presente perduto e un futuro possibile, tra Marx e Freud, tra mito e rito, tra Cristianesimo evangelico-primitivo e favola, tra teoria e prassi, tra verità dicibili (Fas) e Verità non dicibili (Nefas), tra sogno e naturalismo mimetico, tra l’organizzar e il trasumanar. Per risacralizzare le cose. Un poeta tra passione e ideologia, un narratore di storie di vinti e di sottoproletari fuori dalla Storia, un regista semiologo
della realtà e teorico del cinema di poesia, il drammaturgo del teatro di Parola, il saggista eretico e critico, il giornalista che processava la società e la classe politica. Pasolini, allora, è stato un intellettuale dissenziente o un dissenziente perché intellettuale? Cosa ha voluto dirci con la sua opera e a chi si rivolgeva? Ha voluto semplicemente dirci che la verità non sta in un sogno, ma in molti sogni e si rivolgeva a quelli che non volevano vedere e parlava in nome di coloro che non potevano dire.
Ci resta di lui solo una scarna descrizione (quel “gioco del massacro”) letta nella perizia compiuta sul cadavere: “Quando il suo corpo venne ritrovato, Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l’altro nascosto dal corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadevano sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera di lividi, di ferite. Nerolivide e rosse di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segno degli pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un’orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato”.
Luigi Martellini
Luigi Martellini vive nelle Marche (Fermo). Già docente all’Università di Urbino e poi professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università della Tuscia, si è occupato di D’Annunzio (Ateneo 1975 e Carabba 2005), Malaparte (Mursia 1977), Matacotta (La Nuova Italia 1981 e Carabba 2007), della Poesia delle Marche (Forum 1982), di Cardarelli (ESI 2003) e della Coscienza di Zeno di Svevo (Carocci 2010). Ha curato varie opere edite e inedite di Malaparte per le Edizioni Scientifiche Italiane, Mondadori, Leonardo: tra cui la storia della rivista “Prospettive” e le Opere scelte per i “Meridiani”. Studi su Petrarca, Monti, Leopardi, Ungaretti, Pavese, Tecchi, Primo Levi, CalvinoÉ sono raccolti in: Modelli, strutture, simboli (Bulzoni 1986); Nel labirinto delle scritture (Salerno 1996); Novecento segreto (Studium 2001); Altri labirinti (Sette Città 2015). Tra i contributi, su Pasolini ha pubblicato: Il dialogo, il potere, la morte. La critica e Pasolini (Cappelli 1979); il capitolo Pasolini, nella Letteratura Italiana Contemporanea (Lucarini 1982); Pier Paolo Pasolini. Introduzione e guida allo studio dell’opera pasoliniana. Storia e antologia della critica (Le Monnier 1983); Introduzione a Pasolini (Laterza 1989); Ritratto di Pasolini (Laterza 2006, tradotto in spagnolo dall’Università di València). Ha scritto sulla terza pagina de “L’Osservatore Romano” e collabora a riviste letterarie italiane e straniere. Accanto a quella accademica, di particolare rilievo la sua produzione poetica, accolta con favore dalla critica.