Pubblicato nel 1920, e non certo tra i suoi più famosi lavori, era stato preceduto da una prima stesura nel 1902, pubblicata con il titolo Dopo il divorzio. In entrambi la vicenda si dipana intorno a un fatto socio-politico preciso: la discussione aperta in Italia sulla possibilità di introdurre nell’ordinamento giuridico una normativa in materia di divorzio. Le date della pubblicazione dei due romanzi coincidono con le proposte legislative che, in entrambi i casi e dopo accese discussioni, non vennero approvate, e che rappresentarono, in particolare l’ultima, come scrisse Benedetto Croce, “l’ultimo tentativo dell’Italia di darsi un profilo laico”. Va detto che poche scrittrici si spesero per sostenere le proposte di una legge scivolosa e ambigua nei confronti della condizione femminile; […] Grazia Deledda è l’unica che, pur non prendendo apertamente posizione, costruisce un romanzo in cui confluiscono molte e significative implicazioni di questa nuova possibilità di mettere fine al matrimonio. Sceglie, quindi, di seguire la strada che sente più propria: raccontare storie invece di propugnare teorie, da vera narratrice qual era; affidare le proprie idee alla forza delle storie.
Dalla Prefazione di Maristella Lippolis
Grazia Deledda nasce il 27 settembre 1871 in una numerosa famiglia benestante di Nuoro che, travolta da una serie di lutti e difficoltà, perde presto quell’iniziale benessere.
Narratrice, più che scrittrice, prolifica e spontanea, dalla creatività tra le più grandi della letteratura italiana, pubblica numerosissimi scritti che la rendono famosa in Italia e all’estero tanto da essere la prima donna italiana a ottenere l’assegnazione del Premio Nobel nel 1926, che le viene consegnato il 10 settembre 1927.
Per lunghissimo tempo elemento centrale della narrazione dell’autrice rimane la sua terra, quel mondo appartato, popolato da contadini, pastori e possidenti, atavico, arretrato e opprimente, chiuso in se stesso, ma agitato da sentimenti tanto forti da annientare chi li patisce. Qui la Deledda, pur vivendo una vita povera di esperienze, crea opere di una scrittura densa di passione morale in cui le colpe sono gravate da un fatale senso del peccato.
Seguendo la sua vocazione artistica, ambisce a raggiungere Roma, sogno che realizza nel gennaio del 1900, sposando un impiegato romano. Nella Capitale si dedica esclusivamente alla letteratura, ma, scegliendo ambientazioni diverse dalla sua Sardegna, dà vita a romanzi di spessore nettamente inferiore a quelli precedenti.
In Cosima, in particolare, uscito postumo sulla Nuova Antologia nel settembre 1936, la Deledda avvertì l’esigenza di raccontarsi in una sorta di biografia, anche se sotto le mentite spoglie di romanzo. Pur avvertendo questo bisogno, comunque, non fu capace, fino in fondo, di liberarsi dai nodi della sua stessa natura, ancorata a una concezione patriarcale dell’esistenza.
Muore a Roma il 16 agosto 1936.