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Autore: Federica D’Amato
Prefazione di Donato di Stasi
Genere: Romanzo epistolare
Formato: 11×17 cm
Edizione: 2016
Pagine: 64
Collana: i quaderni dell’Angiolo n. 1
ISBN: 978-88-88302-61-4
Tredici lettere di commento alla preghiera cristiana del Padre Nostro, scegliendo come interlocutore Comitò. Federica e Comitò si scrivono, ma l’inchiostro dell’interlocutore si sbianca, fino a cancellarsi, e restano solo le parole di Federica.
Qui l’autrice non tergiversa attorno a un cristianesimo di comodo, anzi la sua prosa fortemente evocativa non lesina tensione tragica, dubbi e angosce, ma zampilla parole per qualcosa che vuole prendere voce: una brama d’amore decisa a trovare la lingua dell’amore. Federica D’Amato torna con coraggio a pregare il Padre ontologico e il padre storico, perché la preghiera lacera l’uniformità e l’opacità del visibile, strappa il mondo a se stesso, lo costringe a disgiungersi, lasciando rifiorire l’essere profondo delle cose.
Io voglio parlare con te per stare vicino a tutti: d’altronde, lo sappiamo, si scrive si parla, in assenza, solo per questo. Ma voglio che qui accada l’ottavo giorno, quello in cui la colomba poggia il capo nelle mani del santo, il giorno in cui il padre torna tra le braccia del figlio, nella sua volontà.
L’autore
Federica D’Amato (1984) si occupa di letteratura e lavora nel campo dell’arte e del giornalismo. Ha pubblicato le raccolte di poesia La dolorosa (2008), Poesie a Comitò (2011), Avere trent’anni (Ianieri, finalista Premio Frascati, 2013); l’edizione italiana del Libro dell’amico e dell’amato di Raimondo Lullo (Qiqajon, 2016); l’edizione italiana di Dove diavolo sei stato? di Tom Carver (Ianieri, 2012) e il libro-dialogo con Davide Rondoni, I termini dell’amore (CartaCanta, 2016). Ha all’attivo numerosi contributi di critica letteraria per riviste specializzate, italiane e straniere; dirige la collana di narrativa breve “Bartleby”, e la collana di poesia “L’Angiolo”, per la Ianieri Edizioni; scrive di cultura sulla terza pagina del quotidiano «Il Centro» (gruppo «L’Espresso»).