Il volume ci pone dinanzi a questo dilemma: amare l’abbacinante disordine della vita o rifuggire da esso? Andare avanti percorrendo impavidamente il cammino della propria esistenza con il rischio di soccombere o vivere le proprie sconfitte trovando in esse un riparo, un rifugio? Irene, la protagonista di questo lungo racconto, è una creatura infelice ed inquieta, che ha alle spalle un’infanzia malvissuta e tanti vuoti affettivi. Vive come sospesa fra la propria identità, di cui peraltro è in affannosa ricerca, e quella di Anna, una sorella mai conosciuta, perché morta prima della sua nascita, ma che da sempre è per lei una presenza incombente.
Le vie di fuga di Irene sono altrettanti modi per non esserci, per fuggire da una realtà che non le piace e che la porta a divenire di volta in volta un’anoressica, una fedifraga o una vittima di facili illusioni sessuali. Sono vie che non conducono da nessuna parte e che, dopo un primo momento di stordente felicità, accentuano il senso di solitudine che è in lei.
Irene è una non eroina, da cui tutti noi, leggendo Vie di fuga, prenderemmo le distanze perché ci riporta alla mente tutte le volte in cui abbiamo mancato di far valere quello che siamo. È una non eroina, che incarna perfettamente la malinconia e la fragilità dell’essere umano ed è una donna che fugge dalla sua stessa immagine, perché sa che fermarsi comporterebbe un affacciarsi sul baratro della propria esistenza.
In fondo, proprio questa è la lezione del libro: la vita bisognerebbe attraversarla senza cercare lo stordimento in facili vie di fuga, ma convivendo giorno dopo giorno con la consapevolezza dell’enigmaticità del proprio io.