Nelle “Bestie” Federigo Tozzi sperimenta un genere letterario inaudito, qualcosa che la critica ancora stenta a definire e ricondurre a forme note: 69 prose che tutto sono fuorché frammenti, giustapposte come tessere di un mosaico anti-narrativo e lirico, prive di qualsiasi cornice o introduzione.
Un “montaggio”, un’allegoria di situazioni, personaggi, immagini, visioni, in ciascuna delle quali fa la comparsa enigmatica un animale. La bestia, forse, è solo un pretesto o forse è il segnale muto di un significato indicibile. Sin dalla prima prosa il lettore viene catapultato in un mondo che ondeggia fra realtà e immaginazione, fluido e frammentato allo stesso tempo, psichico e fisico insieme, indefinibile e inafferrabile.
Federigo Tozzi (Siena 1883 – Roma 1920), scrittore. Dotato di una formazione letteraria da autodidatta, riportò nelle sue opere, spesso ambientate in un mondo provinciale e caratterizzate da accenti autobiografici, i sintomi di quella stessa crisi descritta dai contemporanei Italo Svevo e Luigi Pirandello.
Dopo le prose liriche Bestie (1917), pubblicò il romanzo Con gli occhi chiusi (1919) e le novelle poi riunite in Giovani e L’amore (entrambi del 1920), mentre molta parte della sua produzione venne pubblicata postuma.